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dai GIORNALI di OGGI

Pressing sui "paradisi fiscali"

Caccia a 5.600 miliardi euro

Il segreto bancario? Proteggerà meno

Per lo "scudo" il momento è propizio

2009-03-07

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REPUBBLICA

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L'UNITA'

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il SOLE 24 ORE

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2009-03-07

Pressing sui "paradisi fiscali"

Caccia a 5.600 miliardi euro

di Nicola Borzi

7 marzo 2009

Un tesoro stimato tra 4mila e 5.600 miliardi di euro (al cambio attuale). Nascosto, secondo le ultime stime dell'Ocse, nei forzieri delle banche dei paradisi fiscali. È questa l'enorme dimensione della posta in palio nel rimpiattino tra le autorità internazionali che cercano di arginare i flussi di capitali "sommersi". L'obiettivo della Ue e del G-20 è quello di far emergere flussi di denaro anonimi. Un'offensiva che ha messo in allarme paesi come Svizzera, Austria e gli altri tradizionali "rifugi". Secondo l'Organizzazione per lo sviluppo economico, che dal 1998 si occupa del dumping fiscale tra Paesi e aggiorna la "lista nera" degli Stati che non recepiscono le norme internazionali antiriciclaggio, il segreto bancario va regolato e non può evitare l'obbligo di rispondere a rogatorie internazionali, specie quando si sospetta che i capitali protetti dalla riservatezza siano frutto di attività criminali, illeciti o evasione fiscale.

La situazione in Europa

In Europa lo stato del segreto bancario, quanto alla regolamentazione e alla sua opponibilità alla magistratura, è quello indicato nella tabella. Dal 2000 sono sono stati 35 i Paesi che hanno adeguato la loro legislazione alle "norme di comportamento" internazionali. Restano però almeno tre casi (Andorra, Liechtenstein e Principato di Monaco) di Stati individuati come "paradisi fiscali che non cooperano" a far cadere le barriere all'informativa. Anche se l'acqua nella quale nuotano gli evasori fiscali si va progressivamente asciugando, il rimpiattino tra guardie e ladri però non ha fine. Dal 1989 il riciclaggio di denaro è nel mirino della Task force internazionale sui problemi finanziari (Fatf-Gafi), istituita dal G7. Ma quando finalmente un Paese cede alle pressioni internazionali (come accaduto di recente per le Bermuda su pressione degli Usa e, in parte, per il Liechtenstein da parte della Germania e per la Svizzera sempre da parte di Washington) i capitali sono già emigrati in un altro paradiso fiscale.

Il caso del Vaticano

Un caso a parte è quello della Città del Vaticano dove l'unica banca attiva è l'Istituto Opere di Religione. Lo Ior, che non ha altre filiali, tra i clienti conta dipendenti e membri della Santa Sede, ordini religiosi e benefattori. Rapporti selezionati e non "a rischio" identificati solo attraverso un codice: alle operazioni non si rilasciano ricevute, non esistono assegni intestati allo Ior, depositi e movimenti avvengono tramite bonifici. Bilancio e investimenti dell'Istituto sono noti solo al Papa, al collegio dei Cardinali, al Prelato, al Consiglio di sovrintendenza, alla direzione e ai revisori dei conti dell'istituto.

Poiché ha sede in uno Stato sovrano, ogni richiesta di rogatoria allo Ior deve partire dal ministero degli Esteri del Paese richiedente. Finora nessuna rogatoria è stata concessa dal Vaticano, che non risulta aderire a organismi internazionali di controllo antriciclaggio ma partecipa – indirettamente – ai sistemi di pagamento dell'eurozona tramite banche tedesche e italiane. Che il Vaticano non si sia dotato di norme non significa però che la Santa Sede sia "meno virtuosa" di Paesi che le hanno: Stati con norme antiriciclaggio sono di certo meno attenti della Santa Sede nel combattere il fenomeno.

nicola.borzi@ilsole24ore.com

7 marzo 2009

 

 

 

Il segreto bancario? Proteggerà meno

di Paolo Zucca

7 marzo 2009

Matura la voglia di regolamentazioni forti sulle attività di finanza. E anche parte del segreto bancario (non la doverosa riservatezza di banca quanto la disponibilità alla collaborazione fra amministrazioni di Paesi diversi sui conti di non residenti) viene messo in discussione. Soprattutto quando l'anonimato copre cifre rilevanti e il sospetto di evasione fiscale è forte. Il velo bancario è stato invece tolto, con il via libera di tutti i Paesi evoluti, in caso di illeciti penali. L'ostruzionismo rimane quando bisogna definire esattamente cosa è reato.

Per chi non ha grandi patrimoni il problema non esiste. E probabilmente c'è simpatia per la caduta delle barriere protettive. Sarà uno dei temi toccati dal G-20 il 2 aprile a Londra. Ne possono derivare riflessi sui flussi di denaro, immobiliari, valutari che toccano il risparmiatore-investitore. Molti Paesi vivono di finanza. Alcuni sono al nostro confine come il Principato di Monaco, la Svizzera, l'Austria. O la piccolissima Repubblica di San Marino che è parte dello Stivale. Altri sono facilmente raggiungibili in poche ore.

Mai come in questo momento i conti dei non residenti sono oggetto di attenzione. Quei soldi depositati e legittimamente posseduti dai proprietari fanno gola per recuperare flussi, perchè possano essere investiti nelle imprese o perchè rientrino come oggetto di imposizione fiscale. Non ci sarà da stupirsi se emergeranno proposte di nuovi "scudi fiscali". "C'è un po' di confusione – spiega Guglielmo Maisto, professore di diritto tributario presso l'Università Cattolica, socio fondatore di Maisto e Associati – fra paradisi fiscali, dove i regimi tributari favorevoli puntano ad attirare imprese, e i paradisi finanziari, che per richiamare le imprese puntano su norme che non garantiscono la trasparenza societaria, su minori controlli, e su un più marcato anonimato. Nel prossimo G-20 è prevedibile una più accentuata pressione verso Paesi che utilizzano normative e prassi ritenute non collaborative. Forse prima di affrontare il caso svizzero in sede di G-20, l'Unione Europea dovrà ripensare alla posizione dei tre Stati comunitari (Belgio, Lussemburgo e Austria) che hanno ottenuto di derogare al principio dello scambio di informazioni affermato come regola generale dalla Direttiva sul risparmio del 2003. Anche in sede Gafi (lotta al riciclaggio) l'asticella dovrà essere alzata se è vero che tanti Paesi sono riusciti a rientrare fra quelli virtuosi". Il duro contenzioso fra gli Usa e Ubs (vedi in pagina) segnala che l'aria è cambiata. C'è una proposta della Commissione Ue per combattere l'evasione fiscale: in sostanza, uno Stato non potrebbe più rifiutare informazioni sui non residenti se queste sono a disposizione di una banca o di un'altra istituzione finanziaria. Ora dovranno dire la loro Consiglio e Parlamento europeo. L'argomento è delicato, con rischi di scelte controproducenti. "Per i paradisi fiscali – aggiunge Maisto –, nell'immediato futuro prevedo che si possa sviluppare una competizione fra gli Stati per attrarre aziende che abbiano una reale operatività. L'Italia, al pari di tutti gli Stati aventi economie avanzate, dispone da tempo di norme volte a contrastare l'utilizzo indebito dei paradisi fiscali. Però, in linea con la tendenza dell'Ocse, non demonizza i paradisi fiscali. Una demonizzazione indiscriminata renderebbe meno competitive le imprese italiane rispetto a quelle di altri Stati industrializzati che adottano un approccio meno repressivo".

I Paesi sotto pressione stanno reagendo e si faranno vivi in tutti gli appuntamenti internazionali, cercando una difesa comune ed evitando che un concorrente vicino o lontano ne tragga vantaggio. Per Lussemburgo, Austria e tanti altri il segreto bancario regge parte delle economie.

7 marzo 2009

 

 

Per lo "scudo" il momento è propizio

di Marco Liera

7 marzo 2009

Stretto in una morsa, il mantenimento clandestino dei patrimoni privati all'estero sta diventando sempre meno confortevole. Da una parte c'è la grave crisi economica che sta costringendo più di un imprenditore a prelevare dai conti all'estero per far fronte alle difficoltà di accesso al credito bancario. Come riportato da "Plus24" del 14 febbraio, sono in aumento – in particolare in Veneto – i casi di intercettazione di trasporto illegale di contanti da parte della Guardia di Finanza. Dall'altra c'è l'offensiva di vari Stati contro i paradisi fiscali più o meno dichiarati.

Con la vicenda Ubs, le autorità Usa hanno aperto una nuova breccia nel segreto bancario svizzero grazie al potere di inibire l'attività di qualsiasi intermediario sul mercato finanziario più importante del mondo. La Confederazione tiene duro, ma non è chiaro se riuscirà a difendere la sua granitica differenziazione tra frodi (sulle quali è disposta a collaborare) ed evasione fiscale.

Più in generale c'è la determinazione di Governi e organi di vigilanza ad avere un controllo più stretto sulle transazioni con i Paesi offshore, considerati a rischio riciclaggio e base per possibili attività destabilizzanti: come dimostra l'ultimo provvedimento di Bankitalia su San Marino (le cui banche sono ora considerate extra-Ue); e come testimonia la volontà del ministro delle Finanze francese Christine Lagarde e del collega tedesco Peer Steinbrueck di chiedere al prossimo G-20 di imporre alle banche e alle assicurazioni di dettagliare nei bilanci le attività che mantengono nei paradisi regolamentari. Gli stessi clienti sono irritati per il ruolo che hanno avuto molti degli intermediari ivi residenti nel diffondere operazioni truffaldine su larga scala come il "Ponzi scheme" di Bernie Madoff. D'altra parte la convenienza a mantenere clandestinamente una parte delle proprie ricchezze all'estero è dovuta tipicamente a cinque condizioni: equando il carico fiscale è assai inferiore rispetto a quello che si ha sul patrimonio residente in patria; rquando i costi di gestione dei patrimoni non sono eccessivi: tquando il segreto bancario garantito dal Paese estero è a prova di bomba; uquando non c'è una necessità personale o imprenditoriale di far rientrare i patrimoni; iquando c'è una eventuale esigenza di proteggere una parte della propria ricchezza da creditori vari (come gli ex coniugi).

Le prime quattro condizioni vengono sempre meno rispettate: l'euroritenuta (per altro facilmente aggirabile) che grava sul rendimento degli attivi monetari e obbligazionari riferibili a cittadini Ue detenuti su conti cifrati di Svizzera e altri Paesi ha un'aliquota che attualmente è del 20% ma salirà al 35% nel 2011 (contro il 12,5% italiano). E con la Confederazione è in vista una rinegoziazione. I servizi di gestione sono immotivatamente cari: le banche estere sanno benissimo che i loro clienti non residenti ben difficilmente protesteranno sulle alte commissioni. Quanto ai varchi nel segreto bancario, oltre al recente caso di Ubs si ricorderà che i servizi tedeschi si impadronirono tre anni fa dell'elenco clienti di una banca del Liechtenstein con la complicità di un funzionario infedele. La situazione così descritta è un'occasione propizia per l'apertura di una nuova stagione di scudi fiscali, analoga a quella del 2001-2003, che per l'Italia comportò il rimpatrio o la regolarizzazione di 78 miliardi di €. Certo, si tratterebbe di un condono a favore di benestanti che per anni hanno evaso le tasse. Ma, se l'ideologia dovesse far spazio a un sano pragmatismo, sarebbe una misura che garantirebbe un futuro gettito; e, oltre a beneficiare l'intera economia, andrebbe a premiare le banche italiane, che nello tsunami si stanno dimostrando assai più solide di certe concorrenti svizzere o austriache.

7 marzo 2009

 

 

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2009-02-01

 

http://www.avvenire.it

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2009-02-01

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2009-02-01

 

http://www.europaquotidiano.it/site/engine.asp

http://www.gazzetta.it/

http://www.corrieredellosport.it/

http://www.wallstreetitalia.com/

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2009-02-01

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http://www.sorrisi.com/sorrisi/home/index.jsp

http://www.sanpaolo.org/fc/default.htm

 

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